Frase della settimana

"Le falesie xe la sagra dell' illogico"
T.Gigio

lunedì 9 giugno 2014

On Sight


Voi credete alla magia? Io si.
 Per esempio, mentre scaliamo ci sono degli attimi nei quali riusciamo ad ingannare la forza di gravità. Non centra quante serie di lanci fai al pan gullich, non centra il massimale, non centra né la resistenza né la pliometria, a volte non ci rimane che tirare fuori un coniglio dal cappello.
Infatti è proprio nei momenti di estrema concentrazione con l’ultima protezione irragionevolmente sotto le punte delle proprie scarpette, le prese piccole(se ci sono), il sudore incalzante sui polpastrelli che ti fa sentire l’appiglio sempre più piccolo ogni secondo che passa, ma soprattutto la sconvolgente incertezza del non sapere la sequenza da eseguire per non cadere; proprio in questi attimi mi rendo conto che c’è del magico nella scalata. Istanti che diventano ere geologiche, secondi che diventano ore, il tempo viene scandito dalla nostra resistenza, dalla nostra sopportazione al dolore.
 Mentre mi muovo senza peso per guadagnare centimetri fino al prossimo appiglio trovo pure il tempo per pensare in maniera del tutto lucida alla magia che si sta avverando, sto ingannando l’inesorabile forza di gravità e la feroce paura dell’incertezza.

 Arrivo in sosta. Il prossimo tiro tocca a me, conosco il grado di difficoltà e so che posso riuscire a scalarlo “On Sight”. Due giorni prima sono riuscito nell’incantesimo su un tiro della stessa difficoltà ma che vuol dire. Ci sono sempre troppe variabili e anche se accostiamo una romantica lettera ad uno spietato numero per classificare le difficoltà dei tiri, sappiamo bene che a parità di grado tutto può cambiare. Sicuramente la cosa che incide di più è proprio il fatto che proprio noi non siamo gli stessi di due giorni prima.
Osservo il tiro, una bella fessura sale lungo un diedro strapiombante per andare a sbattere contro uno strapiombo. La prima parte non sembra troppo impegnativa, infatti la presenza sullo strapiombo di due rinvii fissi (una indecenza sulle vie di più tiri) sta ad indicare che lì si trova il passo duro, da capire e poi scalare. Sono un po’ agitato, forse sarò stanco o forse ho paura? Paura di cadere? No di non riuscire. Parto titubante ma subito ritrovo il feeling con la scalata. Aiutato dal fatto che le prese si presentano parecchio generose. Mentre scalo capisco che il tiro si risolverà tutto in quei due metri lì in alto. Scalo controllando la mia paura e la mia agitazione o almeno credo di riuscirci. Anche l’esposizione fa il suo sporco lavoro e aumenta la mia ansia. Arrivo all’ultimo riposo, poco prima che il diedro con la fessura inizi a strapiombare ancora di più. Studio il passaggio ma non riesco a capirci molto. Tentenno ancora un po’ ma la tensione sale. Tracce di magnesio non ce ne sono. Le prese si intuiscono e forse ho una vaga idea sulla sequenza. Decido di continuare. Salgo faticosamente il diedro con le mani in fessura, passo la corda nel primo fisso e iniziano a tremarmi le gambe. I battiti del cuore salgono, la testa si rifiuta di concentrarsi, penso già all’insuccesso. Riesco ad alzare la mano destra nel punto più buono della fessura, il mignolo si incastra a dovere, tiro un respiro di sollievo. I miei bulbi oculari sono impazziti, scattano da una parte all’altra per cercare di cogliere ogni ruga, ogni appiglio, ogni segno possibile che mi faccia decifrare questo rebus. Cerco una formula magica che mi permetta di ingannare ancora una volta la gravità. Ho difficoltà a capire e le energie si stanno esaurendo, maledetti strapiombi, io voglio le placche!

 Sono passati sei giorni da quel diedro/fessura strapiombante. Non ho potuto rimanere lontano dalle pareti e ora mi ritrovo nuovamente nel vortice. Stessa parete, stesso senso di vuoto però altra via, altri tiri, altre sequenze, altro compagno ma l’incertezza resta ed è proprio quella sensazione di ignoto che cerco. Quel maledetto dubbio: ce la farò oppure no? Controllerò adeguatamente le mie emozioni? Riuscirò nuovamente nell’ incantesimo?
Siamo in sosta e dobbiamo decidere che linea di salita seguire. Il Mose mi dice di prendere gli spit di destra. Io sono attratto(inconsciamente) dalla fila di spit di sinistra. A vederli i due muri sembrano della stessa difficoltà. Placca leggermente strapiombante assai avara di appigli. Però come spesso accade le apparenze ingannano. Non avendo la relazione(metodo GheyTeam) e sapendo che più vie si intersecano in questo punto della parete, dobbiamo decidere ad occhio dove proseguire. I pareri sono discordanti ma siccome tocca a me decido io; si va a sinistra.
Non sono sicuro del grado di difficoltà del tiro ma tanto a me che me ne frega, io voglio scalare! L’ansia sale, poco però. Mi sento riposato e allo stesso tempo carico di energie. La pelle sui polpastrelli non manca. Il tiro parte da una cengia inclinata, mi alzo un po’ e riesco ad attaccare il primo, le caviglie sono salve. Però non riesco ad alzarmi oltre, ritorno indietro e studio il passo. Dopo vari tentativi parto deciso e mi ritrovo in un attimo alla presa buona che vedevo da sotto e dalla quale riesco comodamente a rinviare il secondo spit. Da qui in poi inizia il viaggio. Si passa oppure no? Che grado sarà? Si va di qua o di là? Di colpo dimentico tutti questi dubbi e penso solo a scalare. Azzardo dei timidi movimenti in traverso a destra. Poi salgo e ritorno a sinistra. Ovviamente non c’è un segno di passaggio. Sento i licheni che si sgretolano sotto i polpastrelli ma non mollo. Qualche puntina di calcare un po’ troppo fina per sostenere il mio peso si spezza sotto le punte delle scarpette; nessun problema me l’aspettavo. Inizio a navigare fra uno spit e l’altro cercando la via più facile o forse l’unica via per salire. Mano a mano che salgo la placca che sembrava liscia mi rivela tutti i suoi segreti. Rughe per i piedi, tacche e buchetti per le dita. Una gioia per i miei propriocettori. Salgo lento ma inesorabile, passo dopo passo. Non ci capisco niente di danza ma mi sembra di ballare… è la roccia a condurre. Dopo parecchi metri arrivo ad un punto dove devo rimontare un leggero strapiombo traversando verso destra. Capisco che qui dovrò studiarmela bene. Respiro a fondo, tasto le prese, cerco gli appoggi migliori ma so che quando mi troverò all’interno del passaggio, dovrò per forza improvvisare. Torna l’incertezza, la gravità si avvinghia alle mie spalle e la mia mente ritorno a sei giorni prima su quel diedro strapiombante.

 “ Maledetti strapiombi io voglio le placche. Questo diedro fessura sta avendo la meglio. La stanchezza mi assale e le braccia si inondano di ghisa. Ormai la sensazione di sconfitta si è impadronita di me, mollo la presa e vengo accolto dolcemente dal vuoto sottostante. Niente, questa volta non mi è riuscito l’incantesimo. Non si è avverata nessuna magia. Le mani scivolavano e i piedi pure, il vuoto inquinava la mia mente e provavo paura. Fa niente, sarà per la prossima volta. Intanto mi sono divertito a giocare con la mia insicurezza, con la mia paura e con la gravità. Questa volta la roccia è rimasta muta, non mi ha suggerito niente.Sarà per la prossima…spero.” 

 Mentre penso e ripenso, scruto la parete estremamente lavorata, cerco di riposare ma mi trovo ormai su due piccole tacche. Bisogna muoversi, azzardo il movimento, punto il piede destro su un piccolo appoggino lichenoso, lo sento premere sull’alluce, faccio forza e mi allungo dietro il bordo dello strapiombetto. Tasto, cerco,palpo, niente, i miei polpastrelli sentono solo la rugosità della roccia. Ad un certo punto pinzo il bordo dello strapiombo nel punto che mi sembra migliore. Le dita della mano si adattano automaticamente alle curve dell’appiglio. L’alluce destro rimane sempre sull’appoggino, azzardo un bilanciamento con la gamba sinistra e accoppio sul bordo svaso per alzarmi quel poco da permettermi di guardare oltre. Vedo una lametta verticale che sembra buona, inizio a pensare alla distribuzione delle forze per non sbandierare ma il mio corpo si sta già muovendo, sento il sedere che si sta staccando dalla parete. L’equilibrio tanto cercato si sta sgretolando, sento il piede destro che sembra scivolare inesorabilmente. Ma come d’incanto, sposto il bacino, il piede sinistro spinge contro la roccia e non so come il destro rimane immobile su quell’appoggino minuscolo. Afferro la lametta e con due passetti mi sono già ristabilito dall’altra parte, afferro una buona fessura da tenere di rovescio e mi rendo conto che è fatta! Mentre scalo gli ultimi metri verso la sosta una profonda gioia mi pervade! L’incantesimo è riuscito, per un attimo ho ingannato la gravità mentre L’ignoto e le paure sono rimaste appese alla sosta quaranta metri sotto di me.

     RomBoss

“Non esistono i gradi, o si fa o non si fa!!” 
     Chris Sharma