Frase della settimana

"Le falesie xe la sagra dell' illogico"
T.Gigio

giovedì 13 novembre 2014

Della serie: " Solo Cagade!"

Nuovamente sulla Stena, la Nord del Triglav. Questa volta però la via da noi scelta termina a metà dei mille metri di parete e quindi, arrivati verso gli ultimi tiri, perchè non movimentare un po' la scalata? 



venerdì 12 settembre 2014

La prima volta... sulla "Stena"

"scritto a quattro mani: Mose-Romboss"

Ordiniamo due aranciate, è già parecchio tempo che ne pregusto il sapore dolciastro e lievemente amaro in fondo al palato. Sento la salivazione aumentare esponenzialmente mentre stappo con gesto secco la bottiglietta da 500 ml, ascolto quel tipico e leggero frizzare dell'anidride carbonica che cerca la libertà verso il collo della bottiglia e lo percepisco pure sui polpastrelli che stringono la stessa. Saranno le dieci di sera e siamo al banco dell’ Aljazev Dom in Val Vrata. A quest’ora c’è già il coprifuoco nei rifugi ma un non so che di cacofonico attrae la mia attenzione, un leggero sferragliare alle mie spalle crea un insolito disagio. Nemmeno me ne ero accorto ma al tavolino appena dietro di noi ci sono tre personaggi, provenienti da terre più orientali della nostra che stanno, con cura maniacale preparando il materiale per l' indomani: rinvii, fettucce, cordini, chiodi, tricam e un numero indefinibile di nut.
La scena mi riporta, dopo il lungo e refrigerante sorso di aranciata, alla realtà dei fatti, a dove mi trovo e a che ore sono. Attingo di nuovo avidamente dalla bottiglietta e mentre assaporo le bollicine correre giù per la gola chiudo gli occhi e ripenso alla sera prima e a queste ultime dodici ore …

Sono circa le 22.30 di sabato sera che in compagnia del Romboss attraversiamo la soglia della cara Koca na Gozdu, luogo prescelto per passare la notte, in vista della un po' pazza ma sopratutto non preventivata idea di scalare la nord del Triglav  l'indomani. Rimaniamo piacevolmente, anzi molto piacevolmente sorpresi nel sapere che pernottare alla koca ci peserà solamente 6 euro a testa. Un mese fa in quel di Chamonix era quanto dovevo sborsare per una buona birra rossa all' Elevation...
Con la rinnovata consapevolezza che qui nel profondo e selvaggio est si sta un sacco meglio che altrove mi corico nel letto di angolo del sottotetto del rifugio, eccitato e preoccupato all'idea di scalare quella che qui oltre il confine viene comunemente e semplicemente chiamata “Stena”. La Parete. Mille metri di dislivello per quasi 4 km di larghezza di calcare a tratti monolitico e a lunghi(troppi) tratti di discutibile compattezza, dove si è scritta la storia dell'alpinismo di questa parte delle Alpi, estate e inverno. La nostra méta sarà una salita apparentemente innocua, si tratta di una via di mille metri con difficoltà sempre comprese tra il II e IV grado ed un tiro di V+; ci sembra un bel modo per conoscere la parete in vista di progetti più ambiziosi e visto il meteo avverso delle ultime settimane, probabilmente le vie più dure saranno delle gran colate d'acqua.

Stena


E quindi come si confà a dei veri alpinisti, eccoci qui, sulla terrazza dell' Aljiazev dom, non sicuramente all’alba ma comunque con un'abbondante tazza di caffè fumante e una fetta di strudel alle mele. Guardiamo la grande parete con il giusto rispetto e una discreta dose di arroganza. Abbiamo guidato poco meno di un'ora dalla koca na Gozdu. Sono le otto del mattino e a noi mancano ancora 500 metri di avvicinamento, 1000 di via e altri 350 per raggiungere la cima. Più 1800 di discesa, chiaramente si, vogliamo proprio arrivare in cima, ecco dove sta la nostra discreta dose di arroganza, percorrere l'intera parete nord, salire in cima, goderci un buon piatto di “ricet” alla Kredarica e quindi scendere prima che faccia buio, perché la frontale, io, non ce la porto.
Una scelta solo apparentemente impulsiva quella di non portare la frontale, ma invece piuttosto ponderata, Leo in realtà la porta ma io ho deciso il contrario. Ho deciso così perché nella mia testa la giornata può andare a finire solo in due modi, ed entrambi non prevedono l'utilizzo della frontale: il primo è il sopracitato, fare tutto il programmato prima che calino le tenebre e il secondo, beh, vista l'ora troppo tarda che attaccheremo la parete  e i possibili temporali pomeridiani, probabilmente ci caleremo ben prima del tramonto. Chiaramente non confido le mie previsioni al mio compagno, se non a fine giornata...
Oltre alla frontale decido per non portare nemmeno scarpette e magnesite.

L'avvicinamento scivola via veloce, alle 9 stiamo già precorrendo la prima esposta cengia di II/III della via, presto arriviamo sotto un risalto verticale, tiriamo fuori la corda e Leo comincia a salire, dopo poche decine di metri ecco che le Giulie si presentano nella loro veste più trasandata, al mio compagno si incastra la corda, iniziano le sequele di bestemmie e i violenti e rabbiosi strattoni per risolvere il problema... bastano pochi secondi però e mi ritrovo istintivamente appiattito il più possibile alla roccia, un comodino stile Luigi XVI ha deciso di staccarsi da uno spigolo e punta dritto verso di me. Bene, penso. Adesso mi arriva in testa o su una spalla e fine della nostra avventura sulla “Stena”. Perfetto, realizza la mia mente perversamente malata, - visto che alla fine la frontale non serviva? -
Invece il comò mi evita di quel tanto che mi permette di sentire chiaro e deciso il sapore di zolfo nelle narici, è andata, si può continuare. La corda nel mentre si è divincolata dall'ostacolo, ormai ridotto in polvere un centinaio di metri sotto di me. Dopo poco Leo trova la sosta successiva e inizio a scalare, accenno un paio di movimenti ma i miei arti non rispondono agli impulsi, anzi, i miei arti si muovono naturalmente sulla roccia, consci delle migliaia di movimenti che hanno incamerato da qualche parte, sottopelle,  negli anni di scalate. È il mio cervello che non è collegato alle braccia e alle gambe, continuo a salire fino in sosta, ma letteralmente non ci capisco un cazzo. Lascio continuare Leo e mentre lui scala io cerco di capirci qualcosa, lui però arriva troppo presto a fine corda e inizia a recuperare mentre io sono ancora intontito dall'improvviso calo di adrenalina.
Procediamo così per un paio di tiri intorno al IV, finalmente un passaggio appena più duro degli altri mi riporta alla realtà, appena in tempo dato che da lì in poi per diverse centinaia di metri procederemo in conserva corta su cenge, canaletti, diedrini ed altre amenità che la parete ci offre, il tutto condito chiaramente con ormai quasi metà “Stena” sotto i piedi.
Vista la scarsissima possibilità di proteggersi potremmo anche avanzare slegati, ma un po' per ripartire meglio i pesi e un po' perché visti gli esami di alta montagna appena superati al corso guide, sono così fresco di corda corta, che voglio condividere con il mio compagno questa simpatica modalità di progressione.

In tempi relativamente brevi ci ritroviamo a cavallo del Gorenjski turnc, un torrione appena oltre la metà della parete che offre un ottima opportunità di bivacco. È la mezza ed ecco che i piovaschi previsti arrivano puntuali a bagnarci un po', approfittiamo della pioggia e delle comode grottine nei pressi del Gorenjski per bere e mangiare qualcosa, lasciamo passare l’ acqua e poco dopo l'una riprendiamo con la scalata. 

attimi di relax al Gorenjski Turnc
Ormai l'eventuale ritirata è una variabile che non ci possiamo più permettere, dobbiamo arrivare in cima e farlo in fretta.

Iniziamo la seconda parte dell’itinerario perdendo per un attimo la via, la ritroviamo quasi subito  e continuiamo veloci fino al tiro chiave di V+, una bella fessura verticale che taglia una pancia di calcare perfetto. Per l'occasione Leo tira fuori le scarpette, io non mi preoccupo più di tanto, cosa sarà mai un V+ da secondo anche se con le scarpe da avvicinamento..
Il Romboss inizia a scalare leggero e sicuro nella fessura, piuttosto ben chiodata, mentre scala spariamo le solite cazzate, ma dopo un leggero strapiombetto non ho più risposte dall’ altro capo della corda, forse le cose si fanno più serie del previsto, lentamente si svolgono quasi i 60 metri di mezza corda che abbiamo, forse portare le scarpette non sarebbe poi stata un idea così sbagliata.
Appena la corda entra in tensione disfo la sosta e aspetto ancore qualche secondo prima di cominciare a scalare. Salgo pochi metri e realizzo immediatamente che sarà una lotta, la fessura mi costringere a ficcargli dentro un piede e l'altro rimane un po' spalmato e un po' in bilanciamento sul lato sinistro della stessa, devo tirare fuori tutti i trucchi che conosco dell'arrampicata in fessura per non tirare ogni protezione e per scalare seppur poco elegantemente la fessura in libera, cerco di incastrare quasi senza alcun risultato mani e pugni, ma non sono sul bel protogino rosso del Bianco né sul bel granito di Cadarese, il fottuto calcare della nord del Triglav non si lascia stuprare facilmente a suon di dita, mani, pugni e piedi, non mi resta che tirar fuori la tecnica più vecchia e faticosa per salire verso il mio compagno.
No non l'artificiale, la mitica Dülfer.

Più è più volte durante il tiro maledico me stesso per non aver preso le scarpette e ancor più volte con le mani sudate cerco inutilmente il sacchetto del magnesio. La sosta per fortuna è comoda, su un bel praticello puntellato qua è la da qualche fiorellino, genzianelle , stelle alpine, e il solito fiorellino violetto che forma dei graziosi cuscinetti verdi a pois rosa/violetti, quello per intenderci che quando trovi in parete, togli e ci trovi sotto una bella fessurina, ideale per piazzarci un chiodino a lama. Ogni volta che ne vedo uno mi riprometto di impararne il nome, ma puntualmente me ne dimentico. Mi disseto e mangio ancora un po' di mango secco, quindi ci sleghiamo e partiamo per gli ultimi 300 metri che inizialmente sono di III e via via che si sale diventano più facili. Saliamo veloci e dopo le prime risate e pause foto, il ritmo impone il silenzio. Chissà cosa starà pensando il Romboss…

…Chissà cosa starà pensando il Mose, mi chiedo mentre saliamo veloci aiutandoci con le mani su queste facili rocce cosparse di zolle d’erba e fiori. Anche scalando sul facile si può avere il fiatone. Per la velocità certo, o forse per le sigarette? Me ne frego e penso piuttosto che avevo bisogno di una salita di questo tipo. Almeno ogni tanto devo sentirmi un po’ camoscio e meno scimmia. Ho bisogno di scalare veloce e fluido su per queste rampe e paretine, superando facili passaggi di slancio e senza fatica. Correre così lungo  una parete di mille metri che sembra non finire mai mi riempie di gioia. Non abbiamo cercato la difficoltà bensì un viaggio, alla scoperta di questa parete. Ormai ne sono convinto, ci tornerò al più presto. Anche perché mi rendo conto che siamo sbucati sulla cengia Kugy e il viaggio verticale è terminato. Guardo il Mose che mi sorride. Forse sta mattina non eravamo così convinti, ma poi giocoforza eccoci qua. Non siamo ancora sazi ne stanchi e allora dopo aver ricompattato gli zaini ripartiamo veloci verso la vetta. Nuvole corrono veloci su queste immense pietraie lunari. Appena iniziamo a salire la pseudo ferrata che ci porterà in cima al Triglav le nubi si fanno dense e il vento si rinforza. Inizia a piovigginare. Nessuna paura, peccato solo per il panorama che ci viene nascosto. Saliamo con i pensieri racchiusi nel cappuccio della giacca fino in cima e come per magia le nuvole si diradano e ci lasciano contemplare tutte le alpi Giulie dalla loro cima più alta.
Iniziamo a giocare con il “Stolp” la torretta di ferro che sta in cima al Tricorno e scattiamo qualche foto.

Vetta

Presto però dobbiamo riprendere il cammino, anzi la corsa. Giù veloci verso la Kredarica (Triglavski Dom) lungo la ferrata della cresta est. Arriviamo con l’ardente desiderio di un tè caldo e di un gustosissimo “Ricet” (zuppa d’orzo con carne). Arrivati al rifugio ci sembra di essere arrivati all’albergo, ops Rif. Auronzo nell’ora di punta. Solo che qui per arrivare bisogna farsi che si voglia o no 1500m di dislivello. Ciò che ci lascia alquanto perplessi e che dopo svariati pizzicotti possiamo dare per scontato non sia un sogno ma è pura realtà, è proprio l’alta percentuale di rappresentati del sesso femminile …  Ahhh l’est … Ma torniamo alla zuppa e al tè. Anzi parliamo di orari, non perché siamo in gara ma perché ovviamente queste cose capitano sempre di domenica e io lunedì dovrei anche lavorare. Secondo voi non ci ho pensato di passare la notte qui in questo bel rifugio animato e ben rifornito di cibo e birra? Casualmente ho portato con me pure un bel pezzo da cinquanta euro da devolvere alla causa.
che bon el ricet
  Niente da fare il mio fottuto senso del dovere prevale e finita la sigaretta, cerco di distogliere lo sguardo del Mose che si era letteralmente incollato a un sedere a dir poco spettacolare … o forse ero io quello incollato? Beneficio del dubbio. Dobbiamo scender prima che faccia buio anche perché abbiamo solo una frontale. Quindi via di corsa, ci aspettano solo 1500m di discesa ripida ed esposta. Sui nevai cerchiamo di sciare io per cause gravitazionali provo anche col culo ma meglio evitare, voglio preservare il mio coccige. Sui ghiaioni lasciamo le gambe libere di galoppare e sulle roccette saltelliamo come i camosci che incontriamo lungo il sentiero. Siamo sul Prag, il sentiero più trafficato per raggiungere la Kredarica dalla Val Vrata, ma a quest’ora la precedenza ce l’hanno le bestie. Noi o loro?
Scendiamo saltellando insieme anche se non eguagliamo neanche lontanamente la loro eleganza. Alla fine arriviamo in tempo sul fondo della valle, attraversiamo il torrente con l’aiuto delle pupille dilatate al massimo e poi imbocchiamo il tranquillo sentiero che in 15min ci riporterà all’Aljazev Dom e all’auto.
 “Mose, te sa che se el rifugio xe verto mi bevesi volentieri una bona ranciata!”

“Me par una bona idea, sento za el gusto dolciastro e un po’ amaro sul palato!”


Mose e Romboss

P.s. tutto sto cine per una ranciata? 

giovedì 31 luglio 2014

Giornate da cameraman in… erba


Backstage riprese sul Robon e apertura della “via attraverso la salata”


Il week-end è ormai alle porte, le lancette dell'orologio fanno brutti scherzi e come ogni venerdì il tempo che mi separa dall'inizio dei miei due giorni liberi sembra non finire mai.
Questo week end ho deciso che finalmente vorrei riposare. Quindi mi sono offerto di andare con Sbisi e Andrea (Polo) a far delle riprese video sulla nuova via che hanno creato di recente sul monte Robon, un cucuzzolo apparentemente insignificante ma che vista la sua dote rocciosa ospita già parecchie vie storiche aperte dal basso con l’uso del trapano. Non pensiate mica che essendoci gli spit le vie si riducano a una semplice fila di piastrine da seguire, no no, provare per credere. Questa volta non penso di scalare quindi nei miei pensieri già assaporo la possibilità di stare in ambiente , veder da vicino questa via nuova e dar una mano a degli amici filmando le loro prodezze, il tutto condito con un posto in prima fila a 150-200 metri dal suolo con merenda, acqua e seggiolino… il vero relax che tutti sognano. Detta così sembra veramente un week end rilassante, invece avrei dovuto immaginarlo: mettete assieme un membro del Gheyteam come il sottoscritto, l’ambiente “accogliente” delle Alpi Giulie e altri due scalatori matti, di sicuro non verrà fuori un mix rilassante e riposante.

Oggi, venerdì pomeriggio, dopo il lavoro andrò a noleggiare una telecamera professionale per realizzare le riprese , ovviamente non avendola mai usata dovrò pure studiarmi il manuale.
Eccomi qui, ore 3 a.m. di sabato, son ancora con il manuale in mano e  non ho chiuso occhio. Ho letto il più possibile dalle istruzioni della telecamera. Speriamo di averci capito qualcosa e di riuscire a far funzionare questa telecamera. Ora però meglio dormire un po’ visto che fra poche ore ho l’appuntamento con Sbisi davanti la caserma dei Vigili del Fuoco  siccome smonta dal turno di notte.  La fortuna si sa(si spera) aiuta gli audaci.

Recupero Sbisi per andare a Sezana e salire sul furgone di Luka (Fonda) per poi correre a Ledra dove ci aspetta il Polo. Durante il tragitto approfitto dell'esperienza di Luka  per colmare le mie scarsissime conoscenze su obbiettivi,  inquadrature, messa a fuoco, iride e quant'altro... Ovviamente nel giro di pochi minuti  ha già le palle piene di me e delle mie stupide domande ma sono in agitazione come se andassi a far una via impegnativa. Non voglio sbagliare.
Dopo un caffettino a Sella arriviamo al parcheggio dove parte il sentiero per il Robon.
Svuotiamo il bagagliaio e appena vedo il materiale che dovremo portare su, capisco che il mio progetto di riposare si sta ridimensionando di molto, martello, chiodi, friends, due cavalletti, la telecamera, corda statica da 100m, sgabello per stare appeso e altri ammennicoli (giangobaglie) utili in parete. Altro fatto che contribuisce al relax della camminatina è lo stato del sentiero che non è proprio messo bene, le valanghe di questo inverno hanno contribuito a creare degli ostacoli naturali sul sentiero come alberi divelti e franamenti di varia entità che ci fanno sudare parecchio.
Arrivati alla base della parete Polo e Sbisi si prodigano nel posizionamento di corde fisse su cui io e Luka ci posizioneremo  per fare foto/video dei primi due tiri. La giornata prosegue come dovrebbe andare. I miei amici scalano e liberano senza troppi problemi i primi due tiri, li seguo attraverso l'obbiettivo sperando di catturar dei fotogrammi fermi e degni della macchina che ho a disposizione. Come dicevo prima, la fortuna aiuta gli audaci e così è, appena presa la telecamera in mano riesco a gestire i comandi e a riprendere senza problemi. Almeno così credo, vedremo poi sul Pc.
Il tempo trascorre veloce e con le luci della sera scendiamo a valle in fretta per arginare al più presto la nostra sete cosmica. Dopo esserci dissetati con il solito nettare che dopo questa giornata direi sia proprio meritato, scendiamo al lago di cave per posizionare la nostra tendina per la notte. Mi siedo davanti e appena mi rilasso sento immediatamente la pesantezza delle palpebre, mi risveglio solo più tardi mentre Andrea e Luka stanno lavorando per scattare una foto notturna e mi coinvolgono subito, anche oggi faremo tardi, infatti ci infiliamo nei sacchi a pelo all'una di notte, sotto un cielo stellato e ognuno con le sue fantasie.

La mattina la sveglia è fissata alle otto, ci aspetta una giornata intensa. Fortunatamente oggi abbiamo meno materiale da caricare sul groppone così raggiungiamo la base della parete più velocemente. Oggi non perdiamo tempo, parto io per la risalita sulla corda fissa lasciata ieri appesa in parete lungo i primi due tiri, recupero il materiale e mi calo alla base. Riorganizziamo tutte le giangobaglie e siamo pronti per la nostra piccola avventura, carichiamo gli zaini in spalla e partiamo alla ricerca di un modo per raggiungere l'ultima sosta da dove effettueremo le riprese sull'ultimo tiro. Dal sentiero, guardando il lato destro della parete si intuiscono una serie di cenge intervallate da brevi paretine di roccia che ci dovrebbero portare agevolmente alla grande cengia sospesa che si trova proprio sopra l’ultima sosta della via. Quindi risaliamo il sentiero fin sotto il pilastro Marisa e poi in stile Gheyteam che ha contagiato anche i miei due compagni, vaghiamo come capre su pendii erbosi, scaliamo qualche breve tratto slegati seguendo le direttive dell’esimio alpinista Emilio Comici, cercando la classica linea a goccia d'acqua per poi immancabilmente scoprire che bisognava tenersi molto più a sinistra...mannaggia sta goccia d'acqua!
Infine raggiunto l'attacco di Rigoletto(storica via della Divinità) dove la parete si fa più verticale e repulsiva chiedo ai miei compagni di poter giocare anche io con queste rocce. Mi lego e parto sul primo traverso, dopo un primo passaggio su roccia  mi trovo nel verde verticale a farmi largo tra erbe ,"parrucche" e soprattutto i classici marzoni. Che linea magica che stiamo aprendo! Grufolando come un cinghiale raggiungo un meraviglioso giardino pensile con abete, qui assicuro i miei compagni che mi raggiungono con i sacconi. L'entusiasmo ci accompagna, parto sul tiro successivo.  Mi ingaggio sul verde verticale piantando chiodi nel fango dalla tenuta di un picchetto da tenda fino a raggiungere un ponte naturale gigante, lo rinvio con un cordino e scendo obliquamente verso sinistra su parrucche e roccia così detta legoland (immaginate perché, oppure vedi glossario), infine raggiungo un diedro di rocce parzialmente instabili e poi finalmente per più affidabili mughi traverso fin sul giardino pensile dal quale dovremo calarci e mi assicuro al grande abete che cresce indisturbato, anzi cresceva indisturbato infatti vicino  a me, legato su un altro larice trovo i reperti della calata allestita dal Romboss due settimane prima per le foto. Per raggiungere lo stesso punto Il CapoRom si era calato dalla cima tra mille peripezie. Ormai questa cengia sta diventando uno svincolo autostradale. Allestisco una  sosta per recuperare i compagni in totale sicurezza. Parte Sbisi e siccome in tre abbiamo un solo martello ad Andrea tocca togliere i chiodi/picchetto avvalendosi di inerti trovati in loco.

I compagni mi raggiungono e così finalmente la "via attraverso la salata" è stata aperta! Tanta la fatica, abbondante il sudore versato, grande intuizione della linea illogica che, date le circostanze e aggravanti psichico ambientali, certamente merita di diventare una classica di misto estivo gradata FR(fango roccia) 3+ E(erba) 6- tutta la salita è stata eseguita On Sight con l’utilizzo delle protezioni esclusivamente per l’assicurazione e mai per la progressione.
Ora dobbiamo preparare la calata, niente di più semplice, il duro ormai è passato. Scendiamo alla sosta sottostante e attrezziamo una corda fissa che userò per seguire da vicino tutte le fasi della scalata sfruttando la telecamera come fosse il mio "terzo occhio". L'immancabile show ha inizio e da entrambi i lati della cinepresa, da una parte i climber che tirano a muerte, dall'altra la mia speranza che il cliff che ho agganciato alla microtacca tenga almeno per la durata dello spezzone video che voglio riprendere, altrimenti beh... l’ inevitabile pendolo che mi fa paura più che altro per la sicurezza della telecamera a noleggio e del mio amico a fianco che verrebbe centrato come un birillo da una palla da bowling.
Oltre la telecamera che uso, mi sono portato una GoPro da appendere tramite il cavalletto ad uno degli spit di progressione del tiro. Ovviamente poco sopra lo scalatore che in questo caso è Sbisi. A volte la stanchezza gioca brutti scherzi, ad un certo punto, concentrato sul mio "lavoro" da cameraman in erba, dimentico di posizionare il rinvio doppio sotto il cavalletto per permettere allo scalatore di assicurarsi una volta raggiunto lo spit. Immaginate voi la felicità del povero Sbisi che dopo il solito Run Out  si ritrova costretto ad aggrapparsi al cavalletto lottando con l'intruso per potersi assicurare. Scusa Sbisi ma dall'alto mi sono goduto lo spettacolo che mi ha fatto parecchio ridere; ogni tanto si sta bene appesi e seduti sul seggiolino.



Finite le riprese sull'ultimo tiro Andrea si cala rapidamente come un incursore della marina fino alla base della parete, abbandonandoci a tirar corde che oggi proprio non vogliono saperne di collaborare e di non attorcigliarsi. La solita faticaccia.

Intanto Luka ci ha raggiunto e appena arriviamo alla base chiede ad Andrea di scalare il primo tiro, dice che la luce è giusta per degli scatti. Senza neanche aver il tempo di bere un sorso d'acqua mi trovo a correre affannosamente su per il nevaio con il cavalletto in mano. Mi posiziono vicino a Luka con il cavalletto aspettando di veder quello che ogni cameramen/fotografo vorrebbe inquadrare, una bella marokka, invece Andrea oggi tiene tutto e non vola!
Ormai è sera, sbaracchiamo il set e ci dirigiamo ai furgoni. Le luci in valle sono già accese, mi volto guardo in alto, un' ultimo sguardo alla parete che prende i colori del tramonto, una stella fa capolino ma la voce di Andrea mi richiama all'ordine, è ora di scendere. La stanchezza si fa sentire, il peso dello zaino anche, io e Sbisi ci attardiamo un po’ e chissà, nel nostro inconscio forse non abbiamo nessuna voglia di scendere da questa "giostra". A noi climber non servono molte cose  per essere felici, solo corde,  rinvii, trapano, un pezzo di roccia e degli amici.
Arriviamo ai furgoni alle 21:30, si parte veloci perchè oggi c'è la gara di arrampicata a Briancon e Luka non vuole perderla. Facciamo tappa a Resiutta per il classico polletto e per vedere in streaming la finale, accendiamo il pc ma...gara sospesa per maltempo... ma pç@*°##($%&&"
Ordiniamo la cena e nel frattempo approfittiamo per scaricare sul pc i file video e darci un'occhiata.
Infine come si dice in gergo il caffè (spesso l'ammazza caffè) ''mette il tappo'' e ci salutiamo.
Arriviamo a Sezana a mezzanotte, con la solita mente annebbiata traslochiamo il materiale da una macchina all'altra e poi tutti a nanna.

Alla fine neanche sta volta ho riposato, sarà che un po’ me le cerco o sarà il mio Karma che è destinato a sfaticare per l’eternità?
Mi adagio sul mio letto, un'ultima occhiata al cielo stellato che vedo nel riquadro dell’abbaino e penso che nonostante la stanchezza sono felice di aver potuto godere di una avventura atipica anche questo week-end.


Majster 

martedì 22 luglio 2014

Campagna contro l'abbandono delle fidanzate


In estate se la tua ragazza vuole andare al mare, accontentala!
Non abbandonarla a se stessa per inseguire i tuoi futili sogni di gloria alpinistica. 
Portala in spiaggia invece di andare a prender grandine su qualche fredda parete nord delle dolomiti.
Compra una sdraio e fatti abbrustolire dal sole cocente di mezzogiorno invece di cercare la frescura di qualche ombrosa falesia nascosta in qualche desolata valle alpina.

P.S. Il GheyTeam offre un servizio di accompagnamento morose/fidanzate/mogli nei weekend di scalata.
Affidatele senza pensieri ai nostri validi ed esperti accompagnatori.
Le porteremo fuori a cena e poi a ballare nei migliori locali; se preferite le possiamo portare al cinema     (solo nei cinema convenzionati) oppure ad una serata di lettura di poesie. Magari preferite più semplicemente che le accompagniamo ad un aperitivo. Nessun problema i nostri Membri sapranno adattarsi ad ogni occasione. Non esitate a chiamarci. Così una volta per tutte le vostre ragazze saranno contente e voi potrete scalare in santa pace. Il servizio è valido 24h su 24h. 
Per info contattateci alla solita mail:
  gheyteammail@gmail.com

L'ARRAMPICATA NUOCE GRAVEMENTE AL RAPPORTO DI COPPIA NON INIZIATE ...




...il rapporto di coppia!

lunedì 9 giugno 2014

On Sight


Voi credete alla magia? Io si.
 Per esempio, mentre scaliamo ci sono degli attimi nei quali riusciamo ad ingannare la forza di gravità. Non centra quante serie di lanci fai al pan gullich, non centra il massimale, non centra né la resistenza né la pliometria, a volte non ci rimane che tirare fuori un coniglio dal cappello.
Infatti è proprio nei momenti di estrema concentrazione con l’ultima protezione irragionevolmente sotto le punte delle proprie scarpette, le prese piccole(se ci sono), il sudore incalzante sui polpastrelli che ti fa sentire l’appiglio sempre più piccolo ogni secondo che passa, ma soprattutto la sconvolgente incertezza del non sapere la sequenza da eseguire per non cadere; proprio in questi attimi mi rendo conto che c’è del magico nella scalata. Istanti che diventano ere geologiche, secondi che diventano ore, il tempo viene scandito dalla nostra resistenza, dalla nostra sopportazione al dolore.
 Mentre mi muovo senza peso per guadagnare centimetri fino al prossimo appiglio trovo pure il tempo per pensare in maniera del tutto lucida alla magia che si sta avverando, sto ingannando l’inesorabile forza di gravità e la feroce paura dell’incertezza.

 Arrivo in sosta. Il prossimo tiro tocca a me, conosco il grado di difficoltà e so che posso riuscire a scalarlo “On Sight”. Due giorni prima sono riuscito nell’incantesimo su un tiro della stessa difficoltà ma che vuol dire. Ci sono sempre troppe variabili e anche se accostiamo una romantica lettera ad uno spietato numero per classificare le difficoltà dei tiri, sappiamo bene che a parità di grado tutto può cambiare. Sicuramente la cosa che incide di più è proprio il fatto che proprio noi non siamo gli stessi di due giorni prima.
Osservo il tiro, una bella fessura sale lungo un diedro strapiombante per andare a sbattere contro uno strapiombo. La prima parte non sembra troppo impegnativa, infatti la presenza sullo strapiombo di due rinvii fissi (una indecenza sulle vie di più tiri) sta ad indicare che lì si trova il passo duro, da capire e poi scalare. Sono un po’ agitato, forse sarò stanco o forse ho paura? Paura di cadere? No di non riuscire. Parto titubante ma subito ritrovo il feeling con la scalata. Aiutato dal fatto che le prese si presentano parecchio generose. Mentre scalo capisco che il tiro si risolverà tutto in quei due metri lì in alto. Scalo controllando la mia paura e la mia agitazione o almeno credo di riuscirci. Anche l’esposizione fa il suo sporco lavoro e aumenta la mia ansia. Arrivo all’ultimo riposo, poco prima che il diedro con la fessura inizi a strapiombare ancora di più. Studio il passaggio ma non riesco a capirci molto. Tentenno ancora un po’ ma la tensione sale. Tracce di magnesio non ce ne sono. Le prese si intuiscono e forse ho una vaga idea sulla sequenza. Decido di continuare. Salgo faticosamente il diedro con le mani in fessura, passo la corda nel primo fisso e iniziano a tremarmi le gambe. I battiti del cuore salgono, la testa si rifiuta di concentrarsi, penso già all’insuccesso. Riesco ad alzare la mano destra nel punto più buono della fessura, il mignolo si incastra a dovere, tiro un respiro di sollievo. I miei bulbi oculari sono impazziti, scattano da una parte all’altra per cercare di cogliere ogni ruga, ogni appiglio, ogni segno possibile che mi faccia decifrare questo rebus. Cerco una formula magica che mi permetta di ingannare ancora una volta la gravità. Ho difficoltà a capire e le energie si stanno esaurendo, maledetti strapiombi, io voglio le placche!

 Sono passati sei giorni da quel diedro/fessura strapiombante. Non ho potuto rimanere lontano dalle pareti e ora mi ritrovo nuovamente nel vortice. Stessa parete, stesso senso di vuoto però altra via, altri tiri, altre sequenze, altro compagno ma l’incertezza resta ed è proprio quella sensazione di ignoto che cerco. Quel maledetto dubbio: ce la farò oppure no? Controllerò adeguatamente le mie emozioni? Riuscirò nuovamente nell’ incantesimo?
Siamo in sosta e dobbiamo decidere che linea di salita seguire. Il Mose mi dice di prendere gli spit di destra. Io sono attratto(inconsciamente) dalla fila di spit di sinistra. A vederli i due muri sembrano della stessa difficoltà. Placca leggermente strapiombante assai avara di appigli. Però come spesso accade le apparenze ingannano. Non avendo la relazione(metodo GheyTeam) e sapendo che più vie si intersecano in questo punto della parete, dobbiamo decidere ad occhio dove proseguire. I pareri sono discordanti ma siccome tocca a me decido io; si va a sinistra.
Non sono sicuro del grado di difficoltà del tiro ma tanto a me che me ne frega, io voglio scalare! L’ansia sale, poco però. Mi sento riposato e allo stesso tempo carico di energie. La pelle sui polpastrelli non manca. Il tiro parte da una cengia inclinata, mi alzo un po’ e riesco ad attaccare il primo, le caviglie sono salve. Però non riesco ad alzarmi oltre, ritorno indietro e studio il passo. Dopo vari tentativi parto deciso e mi ritrovo in un attimo alla presa buona che vedevo da sotto e dalla quale riesco comodamente a rinviare il secondo spit. Da qui in poi inizia il viaggio. Si passa oppure no? Che grado sarà? Si va di qua o di là? Di colpo dimentico tutti questi dubbi e penso solo a scalare. Azzardo dei timidi movimenti in traverso a destra. Poi salgo e ritorno a sinistra. Ovviamente non c’è un segno di passaggio. Sento i licheni che si sgretolano sotto i polpastrelli ma non mollo. Qualche puntina di calcare un po’ troppo fina per sostenere il mio peso si spezza sotto le punte delle scarpette; nessun problema me l’aspettavo. Inizio a navigare fra uno spit e l’altro cercando la via più facile o forse l’unica via per salire. Mano a mano che salgo la placca che sembrava liscia mi rivela tutti i suoi segreti. Rughe per i piedi, tacche e buchetti per le dita. Una gioia per i miei propriocettori. Salgo lento ma inesorabile, passo dopo passo. Non ci capisco niente di danza ma mi sembra di ballare… è la roccia a condurre. Dopo parecchi metri arrivo ad un punto dove devo rimontare un leggero strapiombo traversando verso destra. Capisco che qui dovrò studiarmela bene. Respiro a fondo, tasto le prese, cerco gli appoggi migliori ma so che quando mi troverò all’interno del passaggio, dovrò per forza improvvisare. Torna l’incertezza, la gravità si avvinghia alle mie spalle e la mia mente ritorno a sei giorni prima su quel diedro strapiombante.

 “ Maledetti strapiombi io voglio le placche. Questo diedro fessura sta avendo la meglio. La stanchezza mi assale e le braccia si inondano di ghisa. Ormai la sensazione di sconfitta si è impadronita di me, mollo la presa e vengo accolto dolcemente dal vuoto sottostante. Niente, questa volta non mi è riuscito l’incantesimo. Non si è avverata nessuna magia. Le mani scivolavano e i piedi pure, il vuoto inquinava la mia mente e provavo paura. Fa niente, sarà per la prossima volta. Intanto mi sono divertito a giocare con la mia insicurezza, con la mia paura e con la gravità. Questa volta la roccia è rimasta muta, non mi ha suggerito niente.Sarà per la prossima…spero.” 

 Mentre penso e ripenso, scruto la parete estremamente lavorata, cerco di riposare ma mi trovo ormai su due piccole tacche. Bisogna muoversi, azzardo il movimento, punto il piede destro su un piccolo appoggino lichenoso, lo sento premere sull’alluce, faccio forza e mi allungo dietro il bordo dello strapiombetto. Tasto, cerco,palpo, niente, i miei polpastrelli sentono solo la rugosità della roccia. Ad un certo punto pinzo il bordo dello strapiombo nel punto che mi sembra migliore. Le dita della mano si adattano automaticamente alle curve dell’appiglio. L’alluce destro rimane sempre sull’appoggino, azzardo un bilanciamento con la gamba sinistra e accoppio sul bordo svaso per alzarmi quel poco da permettermi di guardare oltre. Vedo una lametta verticale che sembra buona, inizio a pensare alla distribuzione delle forze per non sbandierare ma il mio corpo si sta già muovendo, sento il sedere che si sta staccando dalla parete. L’equilibrio tanto cercato si sta sgretolando, sento il piede destro che sembra scivolare inesorabilmente. Ma come d’incanto, sposto il bacino, il piede sinistro spinge contro la roccia e non so come il destro rimane immobile su quell’appoggino minuscolo. Afferro la lametta e con due passetti mi sono già ristabilito dall’altra parte, afferro una buona fessura da tenere di rovescio e mi rendo conto che è fatta! Mentre scalo gli ultimi metri verso la sosta una profonda gioia mi pervade! L’incantesimo è riuscito, per un attimo ho ingannato la gravità mentre L’ignoto e le paure sono rimaste appese alla sosta quaranta metri sotto di me.

     RomBoss

“Non esistono i gradi, o si fa o non si fa!!” 
     Chris Sharma

domenica 27 aprile 2014

Paklenica North Face alla Seconda (Parte 2)

Alla base dell’ Anica Kuk si stanno già ritirando quattro cordate. Invece la cordata GheyKing – Neuro si appresta a muovere i primi passi sulla verticale parete di calcare grigio e compatto per salire la via Mosoraski. Sono le 13:30 del pomeriggio di un sabato di novembre. A cosa stanno andando in contro? Ecco a voi la seconda parte del racconto di GheyKing!! 

 Inizio a salire il primo tiro della via, un apparentemente semplice 3a. Mi ritrovo a stringere tacchette millimetriche, lateralini minuscoli, fessurine da monofalange ed il tutto con i piedi in spalmo. Iniziamo bene penso, il solito primo tiro da “psicostronzi”. Anche il neuro, appena mi raggiunge in sosta dichiara che secondo lui questa prima lunghezza potrebbe essere tranquillamente 6a se non anche 6a+. Ma senza farci troppo caso proseguiamo.
 I tiri successivi sembrano più normali, 4b,4a…I muscoli pompano sangue, la testa entra in modalità “se te svoli te mori”. Salgo il più velocemente possibile, dimenticandomi anche di proteggere ogni tanto. La concentrazione è tale che riesco a vedere il mio chakra interiore. Dobbiamo salire veloci perché il tempo passa inesorabilmente. L’orologio della morte segna le 15:00. Siamo a novembre, quindi ci resta solo ancora un’ora di luce o poco più! E come dice il saggio Topo Gigio -In montagna co fa scuro, no riva miga el camerier con le putane e il champagne…riva el freeedo!!- Quindi meglio sbrigarsi. 
Saliamo più velocemente possibile però ecco che ad un certo punto, per una serie di sfortunate coincidenze arriva il caos. Il Neuro conduce la cordata e decide di unire due tiri relativamente corti, un 4a e un 5c, in un’ unica lunghezza per accelerare i tempi e tagliare fuori una sosta. Solo che proprio in questa parte di parete si intrecciano varie vie, stile “Labirinto del Mignottauro”. Mentre il Neuro sale controllo la relazione e vedo che il 4a dovrebbe deviare sulla sinistra, però ho visto una cordata andare sulla destra. Forse dovrei guardare la relazione con uno specchietto? Mentre rimugino su i problemi di lettura della guida, il Neuro continua a salire, leggermente verso destra seguendo il suo istinto alpinistico. Inizio a pensare che stiamo sbagliando qualcosa; è tardi e si fa buio, ci manca ancora troppo per uscire dalle difficoltà e per giunta non siamo sicuri della direzione da seguire. Ormai cosa posso fare?Non mi resta che sperare di vincere l’ambito premio GheyTeam e per farlo dovremo battere gli altri rivali che hanno già vissuto delle vere avventure! Ad un certo punto il filo dei miei pensieri viene interrotto dal fatidico grido”Blocca, bloccaaaaa”. Il Neuro dopo aver attaccato quattro rinvii del presunto tiro di 5c si rende conto che le difficoltà sono effettivamente un po’ troppo alte per quel grado. Osservo meglio e lo vedo appeso davanti una fessurina svasa e in strapiombo mentre mi grida di guardare la relazione e di dirgli la via giusta. Sempre senza specchietto cerco di interpretare la relazione, se non sbaglio lui si trova su un tiro di 7b, allora gli grido di scendere e di procedere più a destra. Sempre per la teoria dello specchietto, infatti poco dopo il Neuro inizia un lungo traverso in stile “Napo” che lo porterà a trovare la presunta sosta a circa una trentina di metri alla mia destra. Siamo al crepuscolo, il Neuro si mette la frontale e procede sul tiro successivo che dovrebbe essere questo fatidico 5c; il tiro chiave. Se riusciamo a passare questa lunghezza con l'aiuto delle ultime luci crepuscolari, poi dovremmo riuscire a proseguire con le frontali e raggiungere il sentiero in cresta. 
Però come avete già capito quello non era un 5c, bensì un qualcosa di non ben definito che le divinità della scalata hanno deciso di regalarci. Nonostante tutto dopo un po’ sento le parole più belle che io potessi sentire in quel momento “molla tutto”. “Yeeeaaahh, penso el xe rivà a farghela, no gavevo dubbi!!” 
Ormai il buio ci avvolge completamente, scalo tutto il tiro tirando l’ombra di prese e calcando degli appoggi immaginari. Infine arrivo su un terrazzino sospeso in piena parete e trovo il neuro con la faccia trasformata, mi sembra di vedere l'urlo di Munch. Noto poi con estremo piacere che la sosta è composta da due alberetti, ai quali non ci resta che affidare la nostra sicurezza. Sono ormai le 17 passate e discutiamo se finire il tiro con la frontale. Il Neuro mi dice di essere sfinito e che non ce la fa a continuare. Io non vedo nessun spit ma so che più su ci deve essere. Per un attimo penso di proseguire, “ quasi quasi anche ghe provo”. Questo attimo di follia dura veramente poco… “ Ma sa che anche no!!”. Volare direttamente sulla sosta non mi alletta più di tanto, con questa sosta poi! Infine decidiamo di sistemarci per la notte e proseguire il giorno successivo. 

Alle ore 18 inizia la lenta agonia della notte. Niente camerieri con puttane e champagne, solo scomodità e freddo. Riesco a sistemarmi a cavalcioni di un alberetto. Il tronco fra le mie gambe funge perfettamente da laccio emostatico e da dilatatore anale. Il Neuro non se la passa meglio, quindi decidiamo di fare della ginnastica ogni venti minuti per prevenire trombi o congelamenti. Per fortuna siamo riusciti a costruire una sorta di tendina utilizzando il sacco corda.(cosa fazevi col sacco corda in parede???:-) N.d.r.) Il nostro appartamento è dotato di camera matrimoniale con riscaldamento autonomo dovuto alla costante aerofagia. Dalla finestra vediamo il mare e siamo pure dotati di una tv a 1pollice, lo schermo della mia macchina fotografica. Così per qualche oretta ce la passiamo più o meno serenamente. Però puntualmente dopo queste orette di pace arriva il freddo col suo manto gelato ad avvolgerci in un abbraccio rigido e senza pietà. Osservo il viso pallido e privo di espressione del mio fedele compagno di cordata ed esclamo “ ciò vedo la gente morta…”. Dobbiamo combattere il freddo trovando il modo di scaldarci a vicenda. Cerchiamo la posizione ideale per dormire come un unico corpo, il kamasutra ci viene in aiuto. Proviamo di tutto, pecorina, smorza candela, cravatta, 69; alla fine però la sistemazione migliore è quella che ci viene più istintiva. Io seduto fra le gambe del neuro. Come la mamma che stringe il proprio figlio in grembo. Il tempo passa e noi dobbiamo razionare tutto: cibo, acqua e la cosa più importante in questi casi, i “cicchini”. 

re 24:20, inviamo il primo sms di allerta a Silvia che ovviamente è a Trieste: “Aiuto xe urgente, roba de far gelar el sangue.” 
Ore 24:30, chiamiamo Michelone: “Semo sperdudi a 200metri sull’Anica, in caso de piova ciama i soccrosi, quei veri no el GheyRescue Team!” E tanto per tenerlo sveglio ci mettiamo d’accordo che ci chiamerà ogni tre ore per sicurezza. 
Ore 1:00 Guardiamo il cielo stellato come facevano i vecchi pescatori, piccole palline luminose su una tela nera come l’inchiostro. 
Ore 2:00 niente palline luminose, solo nubi minacciose. La paura della pioggia ci assale ma vien subito ricacciata via dal nostro animo impavido. 
Ore 2:30 prima pioggerellina, “Semo fottudi”; animo impavido perso. 

 La notte trascorre lenta con questa alternanza di pioggia e non pioggia. Anche il nostro umore segue di pari passo il volere del cielo. Alla fine la pioggia cessa e i primi chiarori si scorgono in lontananza dietro le cime del Velebit. La luce che a breve inonda la vallata scaccia completamente i fantasmi della notte. Alle ore 7:00 iniziamo i preparativi per scalare gli ultimi tiri. Ci dividiamo gli ultimi biscotti per avere un po’ di energia nei muscoletti sciupati dalla nottata appena trascorsa. Siccome il Neuro decide di partire da primo, gli dono uno dei miei biscotti per dargli coraggio. Dopo pochi metri torna in sosta dicendo che è troppo pericoloso. “Cazzo, podevo magnarme mi l’ultimo biscotto!!” Infatti ora tocca a me. Incitato dalle urla del mio compagno e con un profondo senso di deja vu mi ritrovo a metà tiro. L’adrenalina mi scorre nelle vene al posto del sangue. Incastro un piede, pinzo alto di sinistro, alzo i piedi, incastro nuovamente il piede in una lama, mi allungo ad una tacchetta bagnata, stringo con tutto me stesso, alzo il piede in una conchetta umida, mi alzo ed eccomi in sosta! Recupero piano piano il Neuro e nel frattempo mi guardo il tiro successivo. Placca violenta, molte prese bagnate e manca pure uno spit. Tiro le conclusioni e avviso il neuro che sta per arrivare in sosta; “si si, xe facile , te ghe la pol far!”. Ma appena egli alza lo sguardo si gira verso di me e mi guarda come se fossi uno dei frequentatori del Centro Igiene Mentale. Però il Neuro non molla e prova comunque, prima a sinistra e poi a destra in una specie di canaletta che sembra portare un po’ fuori via. Appena dopo essersi innalzato un metro sopra la sosta cade volandomi addosso. Siamo stravolti, in più osserviamo il cielo nuvoloso e dopo una rapida consultazione, vista l’impossibilità di proseguire ce ne ritorniamo mesti al nostro appartamento sospeso e con l’ultima tacca della batteria del telefono avvisiamo Michelone che allerti il soccorso alpino. 

 Ore 10:00 il recupero. 
Fine
                   GheyKing 


mercoledì 23 aprile 2014

Pecka Rock Climbing Festival 2014

    Per chi fosse interessato ecco il link al sito con tutte le info: Pecka Climbing Festival 2014
    E comunque per qualsiasi domanda scriveteci pure!!


martedì 15 aprile 2014

Paklenica North Face alla seconda

La neve si scioglie lentamente, molto lentamente e con essa anche la voglia di serpentine e curvoni abbandona pian, piano e con difficoltà l’animo dell’ alpinista sciatore. Infatti dopo le prime uscite primaverili in falesia si riaccende subito il morbo in breve diventa sempre più forte. Il morbo della parete: delle soste appesi nel vuoto, del profumo di salvia e santoreggia, della roccia fredda al mattino e bollente al pomeriggio, della roccia ruvida, delle dita doloranti, della paura del vuoto e della ghisa nelle braccia(e della cucina di Dinko). Quindi quale posto migliore per andare a sfamare questo morbo se non la nostra amata Paklenica?! Tanto per invogliarvi(o forse no) riportiamo qui, direttamente dalla penna del mitico GheyKing il racconto dell’impresa che nell’autunno di qualche anno fa ha fatto vincere a lui e al Neuro il mitico premio GheyTeam!!! 

Da notare che l’autore è stato già protagonista anni prima di un famoso recupero dalla parete dell’Anica Kuk che trovate documentato proprio qui:  Paklenica The North Face
E come si dice: non c’è due senza tre… non resta che aspettare… 



North Face Alla Seconda
 (quasi) Tragedia sull’ Anica KUK

Day 1
Ci svegliamo alle sei per volere del Neuro che fremeva dal desiderio di toccare la roccia fallica della Paklenica! Non mi sembra proprio in stile GheyTeam alzarsi alle sei di mattina. Mi sembrava troppo di buon’ora. infatti era talmente presto che anche i galli dormivano ancora. Per fortuna possiamo comunque godere di una abbondante colazione da Dinko. Mentre ci gustiamo un caldo caffelatte e il pane del giorno prima perché nemmeno il fornaio si era ancora svegliato, ci consultiamo su che via andare a scalare. Durante la notte ha piovuto e al pomeriggio il meteo non promette niente di buono. Ottime condizioni ambientali quindi. Ma la nostra caparbietà da veri membri del GheyTeam è di pensare che se anche la via sarà un po’ bagnata, non sarà un problema, riusciremo comunque a scalarla! Iniziamo a preparare l’abbondante materiale(che non se sa mai): venti cordini, tre friends(perché de più no gavemo), una serie di nuts, una trentina di rinvii,scarpette,imbrago,magliette di ricambio e due corde da 70m in tutto 100kg di attrezzatura. Per le big wall della paklenica bisogna essere preparati! Ora possiamo partire. Decidiamo di andare a vedere se si riesce a scalare “ Senza Pietà”. Troviamo la via tutta bagnata e in più anche il fiume che scorre alla base è veramente in piena, stile Missisipi Assassin, dove anche i pesci si annegano. Guardiamo la nostra attrezzatura ma siamo sprovvisti di canotto. Quindi dobbiamo cercare un’ altro obiettivo ed iniziamo a vagare per la valle. Siamo come dei turisti che si sono persi per le strade di Fukushima e cercano una via praticabile… Adirirttura gli strapiombi vomitano acqua. Infine approdiamo alla base dello stup e iniziamo a salire per una specie di ferrata che, non so come mi sembra più dura di certi 7a. Camminiamo per otto ore con le nostre scarpe consumate e con la suola “slic” che non aiuta nella progressione; le scarpe di Oliver Twist a confronto erano un lusso. Ogni tanto spunta un cavetto al quale aggrapparsi e aiutarsi nella salita. Inoltre inizia pure a piovere e inizio a pensare – perché se gavemo portado 50kg de roba a testa, se deso semo a far una cazzo de camminadina, e per giunta impirada!- Mentre continuo a tirarmi su per i cavi e penso a tutte queste “Cagade” arriviamo finalmente in vetta! Come sempre non è finita, bisogna scendere! Il sentiero se così si può chiamare scende ripido serpeggiando tra affilate lame di roccia. Forse giocando a calcio su di un campo minato avrei avuto più possibilità di sopravvivenza. Tanto più che grazie alla fantastica accoppiata fra pioggerella e scarpe con la suola “slic” mi sembra di avere dei Roller ai piedi! Fra le lame vedo certi buchi, certe fessure che non lasciano scorgere il fondo. Il sentiero mi sembra disseminato di trappole. Tanto per rallegrare la situazione il Neuro, fedele compagno d’avventura mi dice che potremmo anche fare la fine del protagonista di 127 ore. Allora penso fra me e me – quasi quasi ghe taio el brazo subito- Ma per fortuna dopo svariati crampi, tre strappi e un po’ di immancabile aerofagia ci ritroviamo nuovamente all’ imbocco della valle, quasi sani ma soprattutto salvi!

 Questo sembra solo un normale giorno di alpinismo-escursionistico come quelli che spesso i membri del GheyTeam vivono assaporandone tutti gli imprevisti, gli sbagli e le conseguenze. Invece leggendo le prossime righe si capisce che questo era solo il preludio ad una vicenda veramente epica. Solamente pochi alpinisti amanti della parete, della vertigine e veramente devoti nello spirito e nel corpo alla religione della VETTA possono trovare le forze di vivere, anzi di sopravvivere a una avventura simile. Non rubiamo altro tempo alle parole di GheyKing e passiamo al secondo giorno: 

Day 2
 Memori del giorno appena trascorso decidiamo già a cena un tutt’altro approccio per il giorno seguente. Quindi andiamo a letto prima delle galline e mentre i bambini guardano ancora la tv. Tutta la notte sogniamo la verticale parete dell’ Anica Kuk. Sogniamo di scalare con facilità dei magnifici passaggi, immaginiamo di salire come delle lucertole, appiccicandoci alla roccia senza sforzo per raggiungere la cima assolata e ottenere quel falso diritto di una, o anche più birre fresche. Al mattino, inebriati dai deliri onirici della notte, adottiamo il famoso metodo Perini(1). Sveglia tranquilla e colazione con tutta calma, tanto le pareti saranno ancora tutte bagnate, dettaglio questo che la provvidenza ci regala per ostacolare i nostri piani di bagordi serali a base di alcol e “babe”. Però per fortuna la provvidenza sa anche aiutare gli audaci. Decidiamo quindi di disdire la stanza per la notte ventura. Presagio oppure semplice innocenza? Niente di tutto ciò, sognavamo solo di ritornare dalla scalata con ancora tante forze per dedicarci tutta la notte alla pura “movida”, passare la notte in dolce compagnia per poi fare ritorno all’alba verso la falesia di Kompanj… Ma il destino vuole che i membri del GheyTeam dormano solo con altri membri, uomo con uomo. Oltre all’applicazione del famoso metodo Perini(1) decidiamo pure di partire verso la parete con la metà dell’attrezzatura del giorno precedente. Corda singola da 70m e qualche ammennicolo da incastro. Come scorta siamo provvisti di ben due pezzetti di pane, due formini(? N.d.r.) di formaggio, una decina di biscotti,una mela e un litro e mezzo d’acqua. Così armati ci avviamo alla volta di Ljubljanski. Via micidiale che veniva a suo tempo risolta dal GheyLord assieme a GheyShiro in ben 9 ore e da me(GheyKing) e il Romboss in 2 ore. I misteri dell’alpe. Fatto sta che facendo una media fra le due tempistiche di riferimento pensiamo di stare in parete al massimo sei ore e quindi come disse Gene Wilder in Frankenstein Junior – Siiii puoooo fareeeeeeeee!!- Le vie che corrono sulle pareti soprastanti il parcheggio sono ben asciutte e ci fanno ben sperare; vediamo il bicchiere mezzo pieno, la botte piena e la moglie “imbriaga” e ovviamente come si usa dire, il pene duro col colpo in canna. Mano a mano che risaliamo la valle e ci avviciniamo all’ Anica Kuk le vie si fanno sempre più fradice e così vediamo un bicchiere mezzo vuoto di birra calda e sgasata, botte vuota moglie sempre più “imbriaga” ma molesta e pene moscio con cistite. Le gioie dell’arrampicata! Arrivati sotto Lubjanski, vediamo le caratteristiche lame di roccia alle quali bisogna aggrapparsi tutte bagnate tanto che ci sembrano delle vere Lubjanske piene di olio! “ Cosa cazzo femo??” Domanda che si torva anche su Focus. Mentre ce ne torniamo mesti verso i monotiri vicini al parcheggio ecco che ci si para davanti l’opportunità! Davanti a noi, una visione celestiale una meravigliosa via che sembra semiasciutta e che ci potrebbe dare l’opportunità di calcare anche oggi la tanto agognata vetta dell’ Anica! Mosoraski , la via più facile della North Face dell’Anica Kuk. Sono appena le 10.30, neanche tre orette per percorrere i suoi 320m e siamo in cima! Purtroppo però arrivati alla base della via notiamo con sommo dispiacere che ci sono già tre cordate “work in progress” e ben altre tre cordate in attesa. Però noi decidiamo di attendere il nostro turno e dopo venti “cicchini” tocca finalmente a noi. Siamo già con le scarpette ai piedi e ci tocca aspettare nuovamente perché ben quattro cordate decidono di calarsi dalla prima sosta con le corde doppie. Mi sembra ci sia più gente lì che in tutta Starigrad. Li osservo con muto disprezzo! Vigliacchi penso, si ritirano appena dopo il primo tiro. Una Caporetto in piena regola! Finalmente alle 13:30 posso attaccarmi alla parete e inizio a salire. Non immagino ancora cosa ci aspetta.
 
GheyKing

A breve la seconda parte, appena riesco a ricopiarla dal diario di GheyKing!
Intanto ci vediamo in Paklenica!! RomBoss

(1) Metodo Perini:
Famoso metodo di approccio alla parete che se applicato a regola d'arte prevede di partire per una salita non prima delle ore 14. Possibilmente dopo abbondante colazione e con pochissimo materiale e anche quest'ultimo se possiblie di stampo classico o recuperato in qualche discount. Tale metodo venne ideato dal forte alpinista Istro-Triestino E.Perini durante la sua numerosa attività alpinistica di stampo esplorativo. Attivo Soprattutto sui monti dell' Istria interna e della Carsia-Giulia (es. massiccio del Nanos; Prima ascensione canalone Perini: Nanos - Terra di conquiste alpinistiche)
Tale metodo viene largamente usato dai membri del gheyteam anche con diverse sfumature ed interpretazioni. 
Nota: Questo tipo di approccio risulta in netto contrasto con le teorie caiane. 



mercoledì 12 febbraio 2014

Pecka Old Style!

Bosnia bolting trip 2013 - seconda parte

Se per caso vi siete persi la prima parte eccola qui: Prima parte: Bolting by Night 

Colonna sonora: Mumford and sons - The Cave
                          Mumford and sons - Winter Winds


È sera. Siamo a bordo del nostro furgone a nove posti preso a noleggio. Il Majster guida il mezzo seguendo le indicazioni di Dzenan. Da Banja Luka dovevamo percorrere circa ottanta chilometri per arrivare a destinazione ma le strade non permettono sicuramente un’ andatura allegra, anzi invitano alla prudenza. Ormai dovremmo essere quasi arrivati. Lungo tutto il tragitto abbiamo passato solo qualche paesetto debolmente illuminato. Proprio come il paesetto dal quale neanche due ore fa siamo scappati dopo aver salvato i nostri amici dalle grinfie di Vito Petrovic... 

domenica 9 febbraio 2014

Alpi Giulie cinema 2014 el cinematografo!

Se non sapevate ci fosse, vi segnaliamo questa interessante rassegna cinematografica. Alla quale abbiamo pensato di contribuire inviando anche uno dei nostri audiovisivi. Più precisamente quello che sicuramente molti di voi stanno aspettando e cioè il video dedicato al nostro Bosnia Bolting Trip dello scorso autunno! Quest'ultimo verrà proiettato , assieme ad altri elaborati, giovedì 20 febbraio al Bar Libreria Knulp!!  

Non perdete la prima assoluta, perché il GheyTeam non fa cinema ma (cine)matografo!! 

Qui di seguito la locandina della rassegna e il trailer del video: